“Ma tu vuoi essere felice?” E’ una domanda che faccio spesso ai miei clienti.
“Bè diciamo sereno”. E’ la risposta che solitamente mi danno.
E’ così, la maggior parte delle persone mira alla serenità come massimo raggiungimento della vita, come se essere felici non fosse possibile. E in effetti anche sui libri, la felicità – scrivono psicologi, filosofi ed esperti di ogni tempo e luogo –  si raggiunge in fugaci apici che subito svaniscono, come fossero bollicine. Ma è davvero così, cioè siamo condannati ad una eterna ricerca della felicità e ad essere felici solo per pochi istanti? Pronta a mettere in discussione tutto, mi sono impegnata in una profonda ricerca sulla felicità permanente. Ed ecco cosa ho scoperto.
La felicità è una condizione umana legata alla capacità di rinascere dalle proprie ceneri e alla gioiosa accettazione dell’avventura umana che oscilla fra opposti che si attraggono e si respingono continuamente (il male e il bene, la notte e il giorno, il riso e il pianto) . La felicità piena è percepita sempre come un attimo fuggente che non riusciamo a trattenere. E durante un lasso di tempo così breve, è anche di difficile definizione.
Secondo Adorno, il piacere, la ricchezza, il possesso delle merci sono la promessa di felicità, non la felicità in sé, e come tale sono “occasioni”. Gli antichi greci chiamavano questo tipo di soddisfazione edonismo, la ricerca del piacere, contrapposto ad eudemonismo, parola composta da eu, buono, e daimon, il nostro compagno segreto: essere felici quindi è l’essere in compagnia del nostro buon daimon, aderenti in maniera virtuosa alla propria immagine innata (allineati, diremmo in PNL).
Ma allora cos’è veramente la felicità, e soprattutto, possiamo raggiungerla?
La felicità più profonda è la capacità di essere felici in ogni momento, l’essere virtuosi nel senso greco di aretè, cioè capaci di eccellere e di riuscire con la forza d’animo, tipica degli eroi greci: il saper avere un rapporto ardito col mondo, saper catturare in ogni istante la gioia. Collegato a questo aspetto, c’è la felicità che deriva dal procurare felicità agli altri, un atto d’amore che per i greci è agapè, l’amore incondizionato e sublime che si dà senza aspettarsi una contropartita.
Ma allora – chiedo ancora -cosa è la felicità? Alla fine la felicità ha a che fare con la capacità di apprezzare l’imperfezione, di trovare l’alba nel tramonto, di vivere con tutto se stesso il momento presente, coinvolgendo pienamente i sensi. La felicità proviene dall’arte della riuscita, dall’autostima, dal riconoscere e amare i nostri talenti e successi, dal coraggio (dal latino animus, che significa anche anima), dalla libertà, dall’accettare di essere unici e quindi non omologabili, dalla capacità di stimare quello che si è e si ha, accettando di dover vivere in un universo che sarà sempre più grande di noi. Felicità è anche la consapevolezza piena di se stessi che porta a compiere scelte e a decidere della propria vita prendendosene completamente la responsabilità come fa un capitano con la sua nave.
Ma allora possiamo essere felici? Si, possiamo.  Da quando decidiamo di esserlo, dipende solo da noi.